Lino Luciani, un amore infinito per il baseball
Lino Luciani è un nome ben conosciuto nel mondo del baseball italiano. Venti anni della sua vita li ha dedicati al baseball giocato. È stato lanciatore del Godo, del Caserta, del Grosseto. Ma ha giocato anche nella squadra della sua città, Bologna, in quella stessa società di baseball che ha annoverato, tra i suoi grandi e fra i grandi d’Italia, suo padre Vic. Una tradizione di famiglia che continua con il figlio di Lino, Diego, già promettente giocatore nella categoria Ragazzi.
1) Lino, appeso il guanto al chiodo hai continuato a frequentare il mondo del baseball da allenatore. Cosa insegni ai tuoi ragazzi?
Ai giovanissimi cerco di insegnare l’amore per uno sport difficile da capire, da giocare e cerco di far scoprire a questi bambini i valori che, a suo tempo, il baseball ha regalato a me.
2) Quali sono stati questi “regali”?
Il rispetto, prima di tutto. I compagni, gli avversari, il coach, vanno rispettati in ogni modo possibile. Poi il rispetto per l’autorità dell’arbitro. Mi ha insegnato a condividere, con gli altri, tutto quello che ho avuto e ogni attimo della mia vita in campo. Mi ha insegnato a sacrificarmi per la squadra. Mi ha fatto capire che l’educazione che mi hanno impartito i miei genitori era quella giusta per poter vivere in armonia con il resto del mondo. Quello stesso esempio di educazione io l’ho adottato per mio figlio.
3) Hai mai sbagliato in campo, dimenticandosi di qualcuno di questi principi?
Si. Sono un uomo e sbaglio.
4) E come hai spiegato questo ai tuoi ragazzi?
Ho riunito tutta la squadra, subito, e ho chiesto scusa. Ho cercato di far capire loro che c’è modo e modo di reagire alle avversità e io avevo scelto il modo sbagliato. Avevo fatto qualche cosa che non dovevo fare.
5) Hai dato inizio, da poco tempo a un nuovo progetto di preparazione tecnico-atletica che comprende le categorie di giocatori dai più piccoli ai più grandi. Dopo le prime settimane di lavoro si può già stimare la validità di questo progetto?
Credo proprio di si. Grazie alla indubbia professionalità degli allenatori e alla maturità dei ragazzi, il programma si è svolto, da subito con fluidità e precisione.
6) In cosa si differenzia questo progetto rispetto a quelli che lo hanno preceduto?
Si tratta di una impostazione di allenamento che prevede step di squadra e di ruolo che si alternano. Richiede una considerevole presenza di tecnici esperti negli specifici ruoli di gioco e si comincia con una nuova serie di fondamentali. Poi si lavora sui singoli soggetti.
7) Cosa vuol dire questo?
Vuol dire che dobbiamo conoscere meglio i ragazzi, il loro carattere, parlare molto con loro e riuscire a farli parlare dei loro problemi e delle aspettative che hanno. Quindi giocare e parlare, tecnica e confidenza. I ragazzi hanno già imparato a esprimere le loro difficoltà, sia quelle che riguardano il gioco che quelle che riguardano la vita di tutti i giorni. I tecnici li aiutano a sfruttare le loro capacità e sentirsi un pochino più forti, un aiuto all’autostima.
8) Questo progetto è portato avanti, in parallelo, con l’Academy di Nettuno. In cosa consiste la collaborazione?
Si, si tratta di un lavoro a distanza. Dall’Academy abbiamo preso le metodologie di allenamento e avremo l’assistenza per quanto riguarda lo scouting. Il progetto dell’Academy ha funzionato benissimo, basta guardare i risultati che hanno ottenuto in tutte le categorie. Adesso speriamo di avere altrettanta capacità e soddisfazione per i ragazzi.
9) Una cosa evidente, guardando gli allenamenti, è la contemporaneità del lavoro che coinvolge grandi e piccoli. Non è pericoloso per i giovanissimi?
La scelta di far allenare i piccoli insieme ai più grandi è stata ponderata. E vero che crea problemi ai tecnici che devono gestire l’allenamento, ma questi si sono dichiarati pronti a caricarsi delle loro difficoltà in favore dei vantaggi che il contatto con i più grandi, l’emulazione e l’importanza di sentirsi più grandi genera nei più giovani. È bellissimo osservare i volti dei ragazzi mentre ascoltano i consigli dei tecnici: sono attenti, coinvolti, partecipi, fanno domande, chiedono chiarimenti e i ” perché? ” risuonano in continuazione. I tecnici, da parte, loro, non sono mai stanchi di rispondere. Dimostrano in prima persona come si debba agire, da veri e preziosi “insegnanti”. I ragazzi hanno anche tempi di allenamento dedicati solo a loro, due volte durante la settimana. Non sarebbe possibile applicare l’allenamento di un atleta di serie C ai bambini di dieci anni.
10) Non è troppo pesante l’allenamento così strutturato?
Per i più grandi è impegnativo, ma non pesante. Per i “piccoli” il carico è maggiore, ma, alla fine dell’allenamento i ragazzi, benché veramente stanchi, mi chiedono già: “quando ci rivediamo? “
11) Vogliono vincere questi ragazzi?
No, prima devono divertirsi.